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BAMBINI IMMIGRATI A SCUOLA

Il nuovo millennio ha portato nuove sfide. In Italia, come in Europa la presenza di immigrati è un dato strutturale che determina dinamiche nuove nella distribuzione della popolazione. Il tema della presenza degli alunni stranieri diventa una delle priorità della scuola italiana. La presenza di questi "nuovi italiani", all'inizio di quest'anno scolastico, supera le 300 mila unità. Secondo le previsioni elaborate dal MIUR per il 2010 è atteso un aumento di presenze che supererà le 5oo mila unità e porterà la percentuale degli stranieri al 6 % dell' intera popolazione scolastica italiana. Oggi la scuola italiana si trova di fronte ad una svolta importante per rinnovarsi e per favorire l'inserimento e l'integrazione degli alunni stranieri che la frequentano. Importante è domandarsi come la scuola italiana si ponga di fronte ad alcuni temi come il bilinguismo e l'integrazione.

Il tema del bilinguismo assume rilievo pedagogico e sociale in particolare nella scuola primaria poiché aiuta i bambini ad aumentare la loro capacità di orientarsi meglio nella vita reale e ad aumentare il livello di astrazione, di comunicazione e di comprensione. E' necessario anche rendersi conto dell'enorme sforzo che gli immigrati compiono per cercare di inserire al meglio se stessi e i propri figli nel contesto italiano, e al tempo stesso di conservare intatte la propria lingua e le tradizioni dei Paesi di provenienza. L'atteggiamento di chiusura che i genitori immigrati a volte manifestano nei confronti del mondo esterno può dipendere, infatti, dal timore che il proprio figlio assimili troppo rapidamente un nuovo modo di comportarsi e valori diversi da quelli del suo contesto di provenienza, tanto da trovarsi poi in conflitto con la cultura e le tradizioni familiari. Il dialogo tra docenti e genitori è in questo senso indispensabile per far sì che il bambino non si trovi nella condizione di dover scegliere tra il modello di vita familiare e quello scolastico, sentendosi sospeso tra due mondi contrastanti. Dunque, non è tanto l'inserimento dei bambini stranieri,ma il cambiamento della scuola che li deve accogliere in modo adeguato ed efficace, individuando e conservando i loro bisogni educativi e relazionali. Da non trascurare, infine, è il fatto che la scuola, per le famiglie immigrate, è la prima istituzione italiana con la quale iniziano uno stabile rapporto, quasi quotidiano, foriero di indispensabili conoscenze e di buone relazioni tra operatori e genitori. Occorre, dunque, ispirare l'azione educativa: vedere l'altro con benevolenza, come persona umana, portatrice di valori e ricchezze, non come straniero. Solo così è possibile favorire una visione serena e positiva dei migranti e dei loro figli, stemperando atteggiamenti rigidi ed escludenti verso i medesimi. Si tratta di un tipo di conoscenza estremamente complesso: confrontarsi con un'altra cultura significa rilevarne gli aspetti che la fanno "diversa" dalla nostra, ma anche capire che la rappresentazione che noi ci facciamo della cultura "altra"non coincide necessariamente con quella che essa si fa di se stessa, né con le rappresentazioni che altre culture ancora si possono costruire. L'intreccio di queste rappresentazioni che si manifestano spesso in forme di stereotipo costituisce la trama complessa dell'interculturale.

Essa comprende non solo l'accettazione e il rispetto del diverso, ma anche il riconoscimento della sua identità culturale, nella quotidiana ricerca di dialogo, di comprensione e di collaborazione, in una prospettiva di reciproco arricchimento. Gli insegnanti possono far molto in tal senso, aiutando ad esempio gli alunni italiani a comprendere le diversità culturali e a sviluppare curiosità e rispetto verso usanze e costumi diversi. Concludo affermando che tre sembrano essere le parole chiave e le attenzioni pedagogiche da promuovere per far sì che l'inserimento dei bambini e dei ragazzi venuti da lontano rappresenti il primo passo per l'integrazione e lo scambio interculturale: l'accoglienza (tanto del singolo alunno quanto della famiglia immigrata), lo sviluppo linguistico e l'approccio interculturale.

Dott.ssa Mirela Pascu

INTEGRAZIONE DEI BIMBI IMMIGRATI A SCUOLA

Articolo uscito il martedì 21 novembre 2006 sul "Giornale di Merate"


Il nuovo millennio ha portato nuove sfide. In Italia, come in Europa la presenza di immigrati è un dato strutturale che determina dinamiche nuove nella distribuzione della popolazione. In Italia agli immigrati di paesi africani, latino americani e asiatici si sono aggiunti emigrati europei (albanesi, croati, polacchi, romeni, russi), cioè la "parte povera" dello stesso continente e l'afflusso non accenna a diminuire. Come ha ben evidenziato il ministro Fioroni, nella audizione alle commissioni Camera e Senato del 29 giugno, il tema della presenza degli alunni stranieri diventa una delle tre priorità della scuola italiana.

La presenza di questi "nuovi italiani", all'inizio di quest'anno scolastico , supera le 300 mila unità e sta rapidamente modificando il sistema scolastico italiano, nei suoi tratti generali e di settore,in particolare la scuola dell' infanzia e la primaria (elementare). Nella recente analisi effettuata dal MIUR - Ministero dell'Istruzione ,università e ricerca - si riscontra che si sta delineando un modello variegato,policentrico,diffuso,nel quale i poli di attrazione non sono solo le grandi metropoli,ma anche le piccole città e paesi. Dal 1993 al 2003 il numero degli studenti non italiani è salito a 320 mila. La situazione generale dell' aumento degli alunni non italiani è riassumibile in poche cifre:nell'anno scolastico 2001-02 il totale di alunni ammontava a 181.767, divenuto dopo un anno, già di oltre 232.700 unità; nel 2004 è diventato oltre 320 mila. Secondo le previsioni elaborate dal MIUR per il 2010 è atteso un aumento di presenze che supererà le 5oo mila unità ( per la precisione 566 mila ) e porterà la percentuale degli stranieri al 6 % dell' intera popolazione scolastica italiana. Oggi la scuola italiana si trova di fronte ad una svolta importante per rinnovarsi e per favorire l'inserimento e l'integrazione degli alunni stranieri che la frequentano. Importante è domandarsi come la scuola italiana si ponga di fronte a temi come il bilinguismo e l'integrazione, come venga programmato dai docenti l'insegnamento/apprendimento dell'italiano come seconda lingua,un aspetto non da sottovalutare in relazione alla formazione degli insegnanti.

Il bilinguismo degli alunni deve essere apprezzato nella scuola, essendo una grande risorsa per loro stessi e per gli altri. Il tema del bilinguismo assume rilievo pedagogico e sociale durante la frequenza scolastica, in particolare della scuola primaria,dove si pongono le basi dei due codici linguistici,la lingua d'origine e la lingua della scuola frequentata. Entrambe le lingue vanno curate e sostenute a scuola come a casa,presso la famiglia immigrata, superando stereotipi culturali e meccanismi di esclusione. L'esperienza acquisita nelle scuole di altri Paesi conferma il fatto che potenziare il bilinguismo aiuta i bambini ad aumentare la loro capacità di orientarsi meglio nella vita reale ed aumentare il livello di astrazione, di comunicazione e di comprensione delle persone nell'ambiente in cui vivono. E' necessario anche rendersi conto dell'enorme sforzo che gli immigrati compiono per cercare di inserire al meglio se stessi e i propri figli nel contesto italiano, e al tempo stesso di conservare intatte la propria lingua e le tradizioni dei Paesi di provenienza. L'atteggiamento di chiusura che i genitori immigrati a volte manifestano nei confronti del mondo esterno può dipendere, infatti, dal timore che il proprio figlio assimili troppo rapidamente un nuovo modo di comportarsi e valori diversi da quelli del suo contesto di provenienza, tanto da trovarsi poi in conflitto con la cultura e le tradizioni familiari. Il dialogo tra docenti e genitori è in questo senso indispensabile per far sì che il bambino non si trovi nella condizione di dover scegliere tra il modello di vita familiare e quello scolastico, sentendosi sospeso tra due mondi contrastanti. Dunque, non è tanto l'inserimento dei bambini stranieri,ma il cambiamento della scuola che li deve accogliere in modo adeguato ed efficace, individuando e conservando i loro bisogni educativi e relazionali. Tutto ciò va attuato nella piena consapevolezza che un buon grado di informazione verso le famiglie italiane e/o straniere permette alla scuola di conoscere meglio certe situazioni (abbandoni, bocciature) degli alunni e di andare oltre le semplici operazioni di iscrizione/accoglienza. Ognuno ha la sua lingua ,la sua religione, le sue tradizioni,le sue ricorrenze. Da non trascurare, infine, è il fatto che la scuola, per le famiglie immigrate, è la prima istituzione italiana con la quale iniziano uno stabile rapporto, quasi quotidiano, foriero di indispensabili conoscenze e di buone relazioni tra operatori e genitori. Di ciò, docenti ed operatori socio-culturali, devono essere pienamente consapevoli, proprio per poter attuare nell'istruzione scolastica, quell'incontro tra culture e valori che, in spirito di solidarietà ed accoglienza, porta al raggiungimento di una finalità superiore come la convivialità delle differenze. Occorre ispirare l'azione educativa, ponendo in evidenza un messaggio fondamentale verso le famiglie delle nuove migrazioni: vedere l'altro, il diverso, con benevolenza, come persona umana, portatrice di valori e ricchezze, non come straniero. Solo così è possibile favorire una visione serena e positiva dei migranti e dei loro figli, presenti in numero crescente nella società e nelle scuole italiane,stemperando atteggiamenti rigidi ed escludenti verso i medesimi.

Si tratta di un tipo di conoscenza estremamente complesso: confrontarsi con un'altra cultura significa rilevarne gli aspetti che la fanno "diversa" dalla nostra, ma anche capire che la rappresentazione che noi ci facciamo della cultura "altra"non coincide necessariamente con quella che essa si fa di se stessa, né con le rappresentazioni che altre culture ancora si possono costruire. L'intreccio di queste rappresentazioni che si manifestano spesso in forme di stereotipo costituisce la trama complessa dell'interculturale. L'obiettivo primario dell'educazione interculturale si delinea come promozione delle capacità di convivenza costruttiva in un tessuto culturale e sociale multiforme. Essa comprende non solo l'accettazione e il rispetto del diverso, ma anche il riconoscimento della sua identità culturale, nella quotidiana ricerca di dialogo, di comprensione e di collaborazione, in una prospettiva di reciproco arricchimento. Gli insegnanti possono far molto in tal senso, aiutando ad esempio gli alunni italiani a comprendere le diversità culturali e a sviluppare curiosità e rispetto verso usanze e costumi diversi. Concludo affermando che tre sembrano essere le parole chiave e le attenzioni pedagogiche da promuovere per far sì che l'inserimento dei bambini e dei ragazzi venuti da lontano rappresenti il primo passo per l'integrazione e lo scambio interculturale: l'accoglienza (tanto del singolo alunno quanto della famiglia immigrata), lo sviluppo linguistico e l'approccio interculturale.

Dott.ssa Mirela Pascu

L'ORIENTAMENTO NEGLI STUDI

La scuola che sceglierò.

Tra pochi mesi, i vostri figli saranno posti di fronte a una delle loro prime scelte importanti, quella della scuola media superiore. Si tratta di una decisione sofferta che spesso mette in crisi lo studente interessato e la sua famiglia. E va valutata bene, analizzando almeno alcuni aspetti della situazione:

- Le tendenze personali, le competenze già acquisite, i gusti e le preferenze dello studente. - Le tipologie di scuole presenti sul territorio in cui si risiede (senza farsi troppo influenzare dalle voci che circolano: molte scuole hanno una «fama» migliore o peggiore di altre, ma il mondo cambia e... anche i professori e i presidi).
- Le prospettive di lavoro future.
Non è facile scegliere. E in effetti ci sono alcuni elementi che creano delle incertezze.
Per esempio:
- Non sempre genitori e figli hanno le idee chiare e molte volte essi prendono una decisione solo in base ad aspettative astratte o di comodo, senza tenere conto degli effettivi requisiti posseduti dallo studente o delle reali difficoltà che dovrà affrontare.
- A volte, la scuola utilizza metodi di orientamento che si fondano sulle ipotesi che se gli allievi conoscono il contenuto del corso superiore e/o il mondo del lavoro e se sono capaci di conoscere se stessi possiedono anche i requisiti indispensabili per auto orientarsi. Tuttavia, l'esperienza insegna che, anche ammesso che l'aspetto informativo sia stato adeguatamente assimilato, resta sempre aperto il discorso relativo all'autopercezione.
Può, per esempio, un ragazzo di 13 anni essere cosciente delle proprie potenzialità e sentirsi già attratto da qualcosa che egli vede in maniera ancora molto indeterminata? È possibile che per molti giovani la risposta sia negativa.
- Gli insegnanti spesso formulano giudizi orientativi sulla base del risultato scolastico offerto dall'alunno nelle singole discipline, più che facendo riferimento a parametri generali. Questo sistema può essere accettabile se i prerequisiti posseduti dall'alunno sono di qualità elevata e tali da poter permettere una scelta «a ventaglio», ma è poco adatto per chi non mostra attitudini o inclinazioni particolari e non sa «dove sbattere la testa».

Trovare le coordinate.
Nella scelta dell'indirizzo di studi, i genitori hanno un ruolo senza dubbio importante. Per sostenere i figli in questo compito, essi possono aiutarli a esprimere ciò che realmente desiderano fare. Devono imparare ad ascoltarli, cercare di andare oltre alle parole e ascoltare le loro emozioni. E porsi anche alcune domande: da cosa deriva il loro desiderio? Quali sono le motivazioni, gli interessi, i valori, i bisogni, le aspirazioni? Desiderano proseguire gli studi dopo le superiori?
Occorre aiutarli a riflettere su ciò che sono capaci di fare, capire quali materie prediligono a scuola, in quali riescono meglio e per quali motivi. Verificando più precisamente come affrontano le situazioni difficili o faticose. Valutando anche il loro modo di rapportarsi agli altri e la loro modalità di gestire il tempo e lo studio. Senza trascurare come si comportano fuori dall'ambiente scolastico e in quali altre attività riescono bene. Con queste informazioni a disposizione, comparate tra loro, i genitori contribuiranno a fare scegliere con più consapevolezza il percorso scolastico.Il punto focale per il figlio è capire se stesso sotto tutti gli aspetti, da quello emotivo, cognitivo a quello sociale. Bisogna fare in modo che sia lui ad auto orientarsi. A partire dai propri desideri, sogni, aspirazioni, bisogni, ecc.

A questo punto entrano in gioco altri fattori che normalmente incidono sulla presa di decisione:

- l'immagine che la persona ha di sé, ovvero come si vede in quel determinato momento della sua vita;
- il sistema di valori e di significati che la persona si costruisce nel tempo all'interno del suo gruppo sociale;
- l'insieme delle opportunità, ma anche delle restrizioni e dei vincoli che il momento specifico presenta.

Essere pensanti.
La scelta della scuola superiore segna un passaggio evolutivo di prioritaria importanza in questa fase di crescita. Gli studenti sono infatti caratterizzati da una fase di sviluppo fisico, emotivo e cognitivo intensa e rapida, proiettati verso nuovi percorsi e nuovi ambiti differenziati e complessi. Lo sviluppo corporeo e psichico di questo periodo può determinare la sicurezza o l'insicurezza emotiva e relazionale dei ragazzi, condizionando successivamente l'intero percorso di orientamento e relativa scelta scolastica. L'aspetto centrale della maturazione psichica è lo sviluppo della funzione riflessiva e autoriflessiva. I ragazzi scoprono di essere «pensanti», di poterlo fare in autonomia, di avere pensieri propri diversi da quelli degli altri. Lo sviluppo di tali capacità stimola il bisogno di differenziazione e autoaffermazione, che accompagna in modo costante gli individui per tutta la vita. Inoltre, l'autoaffermazione non può essere delegata, né affidata: è personale e soggettiva. Autoaffermarsi significa poter diventare ed esprimere se stessi. Quando questo bisogno non è riconosciuto o, ancora peggio, «minacciato», scattano misure difensive che possono portare all'esclusione dal proprio percorso di scelta o a una chiusura affrettata del percorso stesso. Bisogno di autoaffermazione «Accompagnare» i ragazzi nella scelta di un indirizzo di studio vuol dire allora riconoscere il bisogno di autoaffermazione di ciascuno, condividere e sostenere tale bisogno. La scuola superiore rappresenta l'apertura verso un nuovo mondo di relazioni, con la possibilità di incontrare nuovi compagni, stili diversi, altre prospettive e opportunità. È questo il momento in cui si attiva la loro dimensione esplorativa e, contemporaneamente, quella del confronto, delle conferme e/o delle invalidazioni.
La scelta scolastica è perciò anche la scelta di un ambiente dove «andare a crescere». Un ambiente che assume una carica emotiva molto intensa, che può andare al di là degli interessi strettamente scolastici e prevalere come fattore di orientamento e di scelta. Il consiglio di orientamento diventa, quindi, l'atto finale di un percorso condiviso che dà l'avvio a un vero e proprio progetto di vita. Ridurre l'orientamento a un consiglio professionale generico o a tecniche diagnostiche e di rilevamento che non fossero studiate, pensate, ricreate in base alle necessità del giovane sarebbe tradire la natura dell'orientamento. Non si può considerarlo soltanto come una tecnica o come un qualcosa di già fatto, precostituito, dotato di una sua propria efficacia, sempre e con chiunque. Orientamento è un processo educativo personalizzato e individualizzato offerto al giovane nella sua progressiva realizzazione personale. Tutto ciò permetterà al giovane di valorizzarsi al meglio, di approfondire i propri interessi, di individuare le aree di sviluppo su cui concentrarsi, evitando possibili frustrazioni causate da scelte non appropriate. Sapere scegliere il percorso più adeguato e più sensato per sé permette di avviare prima e più efficacemente il proprio progetto di vita e professionale.

Aiutare i propri figli ad orientarsi significa anche sostenerli nella ricerca pratica del proprio percorso. Nel concreto i genitori possono:

- Valorizzare le potenzialità del figlio
- Conoscere in modo chiaro ed avere informazioni specifiche sui percorsi formativi di tutti gli istituti superiori della zona e fuori zona abitativa.
- Reperire del materiale informativo: depliant, volantini, video, ecc
- Informarsi sugli open-day e sui laboratori organizzati dalle Scuole Superiori
- Stimolare una presa di coscienza e una conoscenza personale delle proprie caratteristiche e potenzialità quali interessi, atitudini specifiche, motivazioni allo studio.
- Aiutare il figlio ad avere fiducia nelle proprie capacità: l'autoefficaccia
- Ordinare e organizzare i dati provenienti dalla realtà circostante e strutturarli in informazioni specifiche per poter permettere al ragazzo di poter scegliere serenamente

Una buona relazione col figlio permette ai genitori di:

- rilevare una domanda di orientamento anche inespressa
- ascoltare e comprendere le emozioni che prova il figlio
- accompagnare il figlio senza creare dipendenza dandoli degli strumenti che gli consentano di orientarsi
- Stimolare il figlio nella capacità di porre domande ma anche nella ricerca di soluzioni nuove e diverse
- Potenziare la capacità di scelta e di auto-orientatrsi dentro il sistema formativo, in relazione con la realtà sociale e col mondo lavorativo
- Aumentare la capacità di riflessione critica rispetto ai problemi, incanalare e concentrare le energie rispetto agli obbiettivi e alla responsabilizzazione verso gli impegni presi

Aiutare il proprio figlio a orientarsi per fare una scelta soddisfacente e sensata lo mette in grado di:

- riflettere sulle caratteristiche personali, sulle proprie capacità, interessi, valori, ecc;
- sapere identificare le aree in cui può migliorare;
- essere disponibile al cambiamento;
- accettare l'incertezza che ogni scelta può comportare;
- analizzare correttamente le situazioni;
- prendere decisioni e trovare soluzioni;
- assumersi la responsabilità delle proprie scelte e dei problemi che possono sorgere;
- conoscere in maniera corretta le possibilità che ha di fronte prima di compiere una determinata scelta;
- affrontare nella maniera migliore la rinuncia che normalmente una scelta comporta;
- intraprendere una determinata formazione o carriera;
- sapere affrontare i vincoli che possono porsi davanti agli obiettivi;
- sapere costruire progetti futuri.

L'orientamento, quindi, mira a mettere in grado il figlio di gestire e pianificare il proprio apprendimento ed esperienze scolastiche in coerenza con i propri obbiettivi di vita, in collegamento con i propri interessi, competenze e attitudini, contribuendo in tal modo ad un buon soddisfacimento personale. Saper scegliere il percorso più adeguato e più sensato per sé permette di avviare prima e più efficacemente il proprio progetto di vita e professionale.

 

GENITORI E I COMPITI A CASA DEI FIGLI

La scuola costituisce per i ragazzi un'importante occasione di socializzazione e di confronto, sia con i compagni che con i professori; attraverso la frequentazione della scuola è possibile sperimentarsi, sia relativamente alle capacità di apprendimento, sia per la messa a punto di efficaci regolatori dell'autostima a seguito di successi o delusioni, sia per imparare a gestire i conflitti che sempre insorgono in un gruppo. Tuttavia, andare a scuola rappresenta un grande impegno per un ragazzo: non solo nelle ore dedicate alla frequenza scolastica, ma anche a casa, per l'esecuzione dei compiti o per la preparazione di un esame. Per il bambino la scuola è l'occasione per diventare più autonomo e sicuro di sé. E' lì che impara a rispettare le regole, ad affrontare le prime delusioni (come un brutto voto), a essere meno protetto e avere un mondo di relazioni e stimoli al di fuori della famiglia. I compiti fatti a casa sono un ripensamento in autonomia di quello che si è imparato a scuola, e il loro svolgimento è importante perché è il momento in cui l'alunno impara l'autonomia e la responsabilità.

Una ricerca dell'Istitute for Education dell'Università di Londra (2007) ha messo in evidenza che i compiti a casa sono una delle maggiori cause di attrito tra genitori e figli e a volte diventano perfino un fertile territorio di scontro. Inoltre, possono vanificare i benefici che gli stessi compiti dovrebbero portare, cioè quelli di consolidare le conoscenze acquisite a scuola in uno spazio autonomo, in cui i bambini sperimentano, sbagliano e imparano a correggersi da soli. Temporeggiare nel fare i compiti, rimandarli a più tardi, fantasticare ad occhi aperti sul libro, interrompere e frammentare lo studio con pretesti banali, opporsi apertamente, eseguire i compiti in modo frettoloso e impreciso sono alcuni dei comportamenti che mettono in difficoltà i genitori e che vivono come spreco di tempo, ma anche di energie. In effetti, spesso per i ragazzi i compiti sono qualcosa che si deve fare perchè costretti, che sottraggono tempo al divertimento, mentre il loro fine è in realtà quello di consolidare l'apprendimento delle lezioni.
"Mi aiuti a fare i compiti?". Non c'è genitore al quale non arrivi prima o poi questa richiesta. Offrire la propria disponibilità ai figli è giusto ed importante, ma attenzione a non esagerare. E' importante che i genitore si limiti a creare le condizioni migliori per lo studio: l'aiuto troppo attivo, la correzione esplicita e il controllo degli esercizi sono interferenze errate. Il vero aiuto che si può dare ai bambini quando fanno i compiti di scuola, è aiutarli il meno possibile.

Ma allora, vi chiederete, in che modo si potrebbe intervenire? Uno degli aspetti fondamentali riguarda la motivazione allo studio. Spesso i bambini fanno i compiti e studiano per evitare figuracce, brutti voti, sanzioni dai genitori o, all'opposto, per competere, assicurarsi la stima dei compagni, degli insegnanti, dei genitori. Pur essendo motivazioni che producono effetti pragmatici sullo studio, provengono dall'esterno e potrebbero avere anche risvolti non del tutto positivi. Mentre le motivazioni che hanno più forza sono quelle che provengono dall'interno della persona e nel caso dello studio è la motivazione alla conoscenza, alla scoperta di cose nuove, la leva che funziona.

Ci sono alcuni elementi fondamentali che un genitore debba tener conto nello stare accanto ai figli mentre svolgono i compiti a casa:

1. Anno dopo anno, a partire dalle elementari, i compiti a casa sono un'occasione per accrescere l'autodisciplina: imparare a darsi dei tempi, a seguire delle regole. I genitori devono evitare di fare i compiti al posto dei figli, perché in questo modo inviano loro il messaggio implicito che devono sempre dipendere da qualcuno che pensa, pianifica e organizza tutto per loro.

2. Se è controproducente fare i compiti al posto dei figli, è tuttavia opportuno insegnare ai ragazzi ad organizzarsi, a fare ricerche, a capire un passaggio. Quando i figli sono piccoli, il genitore può aiutarli a ad affrontare questo nuovo impegno e a organizzarsi il pomeriggio. Si tratta non soltanto di gestire i propri tempi, ma anche di imparare la logica con cui deve essere affrontato un compito. Ad esempio, se un ragazzino non si rende conto che prima di svolgere un tema è necessario sapere che cosa si vuole scrivere e che quindi è
opportuno tracciare una "scaletta". Aiutare a trovare le informazioni è un'altra forma di aiuto. Sono tutte strategie generali, che servono a imparare ad imparare.

3. Per poter risolvere un problema, leggere un brano da cima a fondo, fare un riassunto o imparare a memoria una lista di vocaboli bisogna concentrarsi, cercare cioè di non disperdere l'attenzione. Questo rappresenta un esercizio indispensabile. Il bambino deve imparare a individuare un obiettivo e a portare a termine un compito resistendo alla tentazione di lasciarlo a metà. Il che non significa che non si possano fare pause, piccoli break rigeneratori che aiutino a riacquistare concentrazione: significa imparare a concludere ciò che si intraprende. In altre parole, a responsabilizzarsi.

CONSIGLI PER I GENITORI
Dovere dei genitori, rispetto ai compiti a casa dei figli, è creare un ambiente favorevole allo studio, insegnare ai bambini ad organizzarsi e trasmettere entusiasmo.

- Gli strumenti giusti aiutano a fare un buon lavoro: preparate sul tavolo insieme al bambino, tutto il materiale necessario per lo studio e per i compiti.
- Creare una routine: è bene individuare un orario fisso per i compiti (tra le 16 e le 20.30 e non dopo cena) in cui i bambini, dopo avere giocato o svolto altre attività di movimento, si concentrano su ciò che devono fare. lasciate un po' di riposo al piccolo dopo la scuola (ha lavorato tanto in classe, dopotutto) ma non transigere: la regolarità è una delle chiavi del successo.
- Dove? Lontano da televisori, videogiochi o altre fonti di distrazione. Bene la cameretta del bambino, ma anche il tavolo del soggiorno o della cucina, purché ci sia tranquillità.
- Disponibilità e interesse: l'adulto non si sostituisce al bambino, è però disponibile per indicazioni, suggerimenti. Quando non sa rispondere, dà indicazioni su cosa e dove cercare, quali chiarimenti chiedere all'insegnante.
- Evitare critiche: se si vuole che i bambini affrontino serenamente i compiti a casa bisogna mostrarsi ottimisti

sulle loro capacità. Bisogna anche concedere loro il tempo necessario per imparare, ricordandosi che i nostri tempi sono diversi dai loro. Mai mettere fretta, sottolineare gli errori, ridicolizzare il bambino. - Resta calma e ascoltalo. Invece di innervosirti, sottolinea gli errori, affinché il bimbo scopra da solo quali errori ha commesso
- Ricordarsi che non siete obbligati a rimanere seduti accanto al bambino: a volte, fare altro nel frattempo aiuta a abituare il bambino a lavorare da solo senza che, per questo, si senta abbandonato
- Contatti con l'insegnante: se si ritiene che i compiti siano difficili per il bambino, meglio parlarne con l'insegnante, invece di criticare il metodo e demolire la figura del docente.

Inoltre:
- Fate sentire che ci siete. Sapere che c'è un adulto cui poter chiedere, interessato a quello che il bambino fa e come si comporta, da un lato rassicura, dal'altro invita a una disciplina indispensabile.
- Date fiducia. Un severo controllo sui compiti porta insofferenza nel bambino e lo spinge a delegare le proprie responsabilità. Il messaggio implicito è quello di dover sempre dipendere da qualcuno che pensa e organizza al posto suo.
- Non sostituitevi. Esisteranno sempre dei compiti molto difficili. Spiegate come si fa, aiutate a cercare materiali e strumenti, fate un esempio, ma non svolgeteli voi. -Premiate la curiosità. Quando si fa mille domande, anche su quello che dovrebbe essere già acquisito, premiate il suo atteggiamento. Alimenta la curiosità, non la competizione. -Non esigete la perfezione dai bambini. Non trasformatevi in giudici. I compiti servono
all'insegnante anche per valutare quanto gli studenti hanno capito e ai bambini per verificare sul campo il loro livello.

Mettere a posto
Una volta finiti i compiti, fatte mettere a posto il tavolo e preparare la cartella per l'indomani: mette ordine nelle idee. In questo modo permettete a vostro figlio di passare una serata tranquilla e serena. E di essere pronto per andare a scuola il giorno dopo!
Ricordarsi dunque che l'atteggiamento dei genitori deve essere improntato al sostegno. Sedersi accanto al bambino, essere pazienti, comunicargli la fiducia nelle sue capacità. Se sbaglia non mettetegli etichette, non umiliatelo mai. Evitiate di fornirgli soluzioni già confezionate, ma stimolatelo, guidatelo a trovarle in modo autonomo. In effetti, il compito dei genitori è proprio quello di aiutare i figli a divenire autonomi. Non sottovalutate mai l'importanza del dialogo, mettete impegno ad ascoltarlo, prestando attenzione non solo alle sue parole, ma anche alle sue emozioni; se si sente compreso è molto probabile che si sblocchi. Nello studio ascoltate la ripetizione delle lezioni, la reiterazione dei contenuti aiuta a fissare le nozioni. Fatte in modo che non impari "a pappagallo", stimolate quindi alla curiosità, a chiederli i perché, a fare collegamenti, incoraggiate l'interesse. Aiutatelo ad inquadrare meglio l'argomento. Se ancora non lo fa, insegnateli a sottolineare le parole chiave e a fare schemi.Sforzatevi di essere autorevoli (non autoritari!), assertivi e mai lassisti. Dare l'esempio, poi, è fondamentale, cercate di essere coerenti con le vostre parole.

Soprattutto, non dimenticate mai di ascoltare non solo con le orecchie, ma anche con il cuore!

 
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